Quando ho letto Presa elettrica di Randy Taguchi, quello
che mi ha stupito di più è la quantità di rabbia che può essere
contenuta in un solo libro. Non avevo mai letto frasi così
traboccanti di rabbia, una rabbia ingorgata, senza via di sfogo.
Com'è possibile, ho pensato, che tutta questa intelligenza,
questa oggettività, questa capacità di spiegare le cose con
tanta lucidità, una conoscenza così approfondita di sé, non
siano capaci di cancellare «la rabbia trattenuta verso la
sofferenza provata fino a adesso»?
Ma forse è proprio qui la forza di un romanzo straordinario, in
cui tutti questi elementi si combinano in un caos primordiale.
La realtà che si cela negli abissi del cuore di Randy mi è
oscura, ma non i suoi romanzi. È incredibile come le opere degli
ultimi anni abbiano acquisito quella trasparenza che dà loro la
libertà di entrare e uscire a piacere dal cuore delle persone.
Un'arte suprema, oserei dire, riservata a pochissimi.
In frasi che scorrono con grande fluidità, Randy è capace di
descrivere l'orrore più intenso con la stessa soave e distaccata
innocenza di un bambino che fa merenda. Affronta a viso aperto
odio, violenza, invidia, i sentimenti più oscuri dell'essere
umano, riuscendo poi a evitarli con l'eleganza di uno scarto
improvviso.
Che grande persona.
Prima di diventare così, però, posso intuire che razza di
inferno sia stata costretta ad attraversare. Per quante persone
siano innamorate di lei, per quanto possa essere desiderata,
nessuno sarà mai in grado di comprendere appieno l'enorme peso
che si porta dentro. La vedo rannicchiata con le ginocchia tra
le braccia a scrivere, concentrata, per un tempo interminabile,
gonfia di tutta la sua rabbia.
Nella realtà, Randy è una donna dalla pelle candida, gentile,
sempre attenta agli altri, allegra e stimolante nella
conversazione. Una donna di grande maturità, capace con la
massima naturalezza di fare la cosa giusta al momento giusto,
pronta a dare il consiglio più adatto alla persona che ne ha
bisogno. Se è lei a dirti che tutto andrà bene, allora tutti ci
credono, come stregati dalla magia delle sue parole.
Mi capita lo stesso però di intravedere uno sguardo maligno
occhieggiare dalle sue profondità. Non rivolto verso di me,
ovviamente, rivolto verso il mondo. Non per questo mi è mai
piaciuta di meno, anzi, tutto questo si combina con quella sua
risata allegra, quegli occhi limpidi e quelle movenze da
cucciolo, andando a creare l'infinita vastità del suo mondo, la
sorgente di un viaggio che non ha mai fine.
Chi è veramente passato attraverso le esperienze peggiori, sa
che cosa sia il vero senso dell'umorismo. Ho la sensazione che
la sua capacità di ridere in qualunque situazione derivi proprio
da lì.
Una volta, sulla via del ritorno dopo una lezione di hula hula,
ci mettemmo assieme a guardare la luna. Un pianeta le si stava
avvicinando, splendeva come un diamante. Ci confidammo la gioia
di essere riuscite a vedere insieme uno spettacolo del genere.
Quella sera casualmente eravamo da sole. Era una sensazione
particolare trovarsi in due a Shibuya, lo sfondo di uno dei suoi
romanzi.
Quel settembre era stato un mese molto duro per entrambe, e
parlammo di tutte le cose strane che ci erano accadute. Questo…
quello… eh? Ma dici davvero? Ci dev'essere qualcosa che non va
nel flusso energetico del Ki… mmh, mi sa che hai ragione… e così
conversando arrivammo alla stazione.
Quella volta Randy mi raccontò di una cosa tremendamente triste
che le era capitato di vedere, rammaricandosi di averlo fatto.
Dopo avermene parlato, aveva la voce soffocata dal pianto.
Anch'io, per un istante, non riuscii a trattenere le lacrime.
La luna ci stava guardando.
Da allora non abbiamo più avuto l'occasione di incontrarci da
sole, c'è sempre stato qualcuno o qualcos'altro, i bambini, il
lavoro. Ancora adesso però mi capita di ripensarci: in quel mese
tremendo, che bella notte che ho passato. E ogni volta che mi
viene in mente, chissà perché, in quella Shibuya vedo camminare
due ragazzine, non certo “due signore” o “due scrittrici”.
Presa elettrica è sicuramente un romanzo duro. Non è per niente
divertente. Tutto è urgenza, affanno, rincorsa disperata. La
rabbia repressa non fa che aumentare dopo ogni contatto
sessuale. Andare a letto con gli uomini per la protagonista è un
servizio reso sotto la spinta del desiderio di essere amata,
della solitudine, del brivido che dà, della voglia di umiliarsi,
del voler affondare comunque in qualcosa fino a dimenticare
tutto il resto. Un luogo in cui non ci sono carezze d'amore. In
realtà per lei è l'abile uso delle parole in un dialogo a fare
le veci del sesso tradizionale. Il sesso carnale è la pena
autoinflitta, il desiderio di spaccare e rimescolare tutto. La
risposta sembra essere lì, a portata di mano, ma poi non viene,
perché non c'è una risposta. Randy maledice. Né lei né suo
fratello sono stati cresciuti in modo da potersi godere una
beata e ottusa felicità a questo mondo. Eppure si è costretti lo
stesso a vivere, è lì l'oggetto della sua maledizione.
L'episodio che più mi è piaciuto è quello in cui la protagonista
e il ragazzo venuto a pulire la stanza dal putridume lasciato
dal cadavere del fratello riescono con semplicità a entrare in
un contatto profondo. È questa secondo me la vera Randy. Niente
di prefabbricato, nessun orpello, nessuna tensione. Dialoghi
normali, facce normali, una curiosità misurata. Questa piccola,
vera parte dentro di lei è ciò che le permette di vivere, che le
fa scrivere ancora adesso dei romanzi. Non dico di desiderare
che Randy lo capisca, no, però, ogni volta che ci penso mi viene
voglia di ringraziarla, per come fa vivere questa parte di lei
piccola e sincera, per i bei romanzi che ci fa leggere. Grazie
alla piccola Randy dentro di lei, e grazie anche a un Dio che
non so nemmeno se esista.
(Traduzione di Alessandro Clementi)
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