Mahoko
Yoshimoto, in arte Banana, è stata in Italia in occasione del Convegno organizzato
dal Premio Grinzane Cavour sulla letteratura orientale, "Uno sguardo a Oriente:
scrittori di Cina, Corea, Giappone e Vietnam". È lei stessa sorpresa dal successo
ottenuto in Italia dalle sue opere, confermato dai dati di vendita dell'ultimo romanzo
Amrita.
Una domanda sicuramente banale. Perché
questo pseudonimo Banana?
Ho scelto questo pseudonimo per la mia passione per i fiori di banano (rossi
e carnosi) di cui in casa, a Tokyo insieme a miei due cani e alla tartaruga, ho un
esemplare che sta crescendo smisuratamente. Inoltre è un nome che si pronuncia nel
medesimo modo in quasi tutte le lingue importanti e si ricorda facilmente.
Il suo ultimo romanzo, Amrita,
sta avendo un successo straordinario in Italia, come del resto era già accaduto per le
sue opere precedenti. Come spiega la popolarità di cui gode qui?
Non so spiegarmi il mio successo e soprattutto il consenso in Italia. Forse
devo tutto a una buona traduzione [il traduttore, che l'accompagna sempre nel suo tour
italiano, è Giorgio Amitrano, n.d.r.]. Comunque sapere che un mio libro viene pubblicato
in Italia mi fa provare ogni volta una gioia immensa. L'Italia è un paese in cui riesco
ad essere me stessa e a diventare contemporaneamente una persona dalle mille facce. Paese
che accogli tutto, che aiuti la bellezza degli esseri umani a fiorire, fantastica
Italia... Amo molto anche la vostra arte e il cinema.
Quale cinema?
Nanni Moretti, su cui ho scritto un saggio, mi piace perché serio ma comico
allo stesso tempo, e Dario Argento. Da ragazzina ero ossessionata dall'idea di non essere
normale, ma quando ho visto le immagini dei film di Dario Argento ho sentito che mi veniva
concessa la possibilità di stare al mondo. Sono numerosi i suoi sostenitori che, come me,
dopo aver visto i suoi film hanno addirittura rinunciato all'idea di suicidarsi.
In Amrita è forte sia il tema
della morte che quello del disagio giovanile, che spesso si traduce in disperazione. Come
spiega questo disagio diffuso e con quale spirito lo affronta?
Non so dare risposte precise. Ma credo che i ragazzi di oggi, non solo in
Giappone, crescano e diventino adolescenti e adulti senza sperare nel futuro. Perciò,
affrontando i loro problemi, le loro angosce, forse anche con i miei libri posso ridar
loro fiducia. Anche la solitudine è una condizione drammatica dei giovani, accentuata
dall'inesperienza. Chi è giovane vive la solitudine come scacco e ne ha terrore. Per
questo gli adolescenti cercano il branco, per superare la paura. L'adolescenza non è in
sé un pericolo crudele, però i giovani hanno un'energia tanto forte che qualunque cosa
facciano diventa estrema e drammatica.
C'è una differenza tra le
giovani generazioni europee e giapponesi?
I giovani in Giappone hanno nuovi valori, sono più istintivi, hanno una
maggiore capacità di arrangiarsi. Le richieste delle giovani generazioni giapponesi sono
molto più severe di quelle dei loro coetanei occidentali.
Il pensiero New Age, il
paranormale, la ricerca di una ritrovata spiritualità e di un riscoperto misticismo sono
temi della sua narrazione, specie nel suo ultimo romanzo pubblicato in Italia. Sono anche
passi della sua ricerca personale?
Per gli uomini d'oggi il soprannaturale è indispensabile. Forse per una
insicurezza generalizzata, o perché sono sorti nuovi dubbi nei confronti della
tecnologia. A me interessa molto la capacità della gente di credere in queste cose. Si
tratta di un mio interesse particolare, non della facile adesione a una moda corrente.
Amrita
è una storia ambientata in un mondo reale del quale mi sforzo di illuminare la parte
invisibile, sommersa.
E la realtà virtuale, il gioco
virtuale che ci arriva dal Giappone? È vero che anche lei ha posseduto un pulcino
Tamagotchi?
Sì, anch'io ho provato una volta a possedere un Tamagotchi. Sono scoppiata a
piangere quando l'ho visto morire, ho avuto un piccolo trauma. Ma come gioco non mi pare
tanto dannoso. Non condivido lo scandalo di tanti nei confronti del Tamagotchi. In questo
gioco c'è forse qualcosa di più di uno svago virtuale, qualcosa che coinvolge i
sentimenti.
Quali sono le sue ricerche
linguistiche?
Mi piace usare parole straniere, soprattutto inglesi, ma non voglio che
rovinino la mia fatica di scrivere nel più bel giapponese possibile, bello da leggere.
Ha influito sulle sue scelte la
presenza in famiglia di un padre, Ryumei Yoshimoto, eminente critico letterario e poeta?
Il mio è stato un inizio come tutti gli altri. Anche perché ho mandato il
mio primo racconto ad un concorso di nascosto da mio padre. Certo in casa mi è capitato
di avere maggiori stimoli, anche senza volontà e senza piani.
Quali sono le sue
"radici" letterarie?
Fin da piccola sono stata accanita lettrice di fumetti, i manga, che
ho sempre considerato una forma di letteratura. Tra gli scrittori occidentali il mio
preferito è Lawrence.
E qual è la colonna sonora del
suo lavoro?
Mi piacciono i Nirvana, i PreFab Sprout, Mike Oldfield.
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