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SONDAGGIO : L'opera preferita di Banana Yoshimoto

 

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> Tsugumi,  nella bella recensione a cura di S@r@ 

> Banana Yoshimoto, scorcio di cultura
giapponese;

biografia, stile e temi
nell'articolo di
Silvia

 

Links :

> Feltrinelli , il sito ufficiale dell'editore italiano

> Melancholia, Banana Yoshimoto Page , un sito amatoriale con molte informazioni

 
 
 

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Scrittrici giapponesi  Banana Yoshimoto

La piccola ombra  

     
     
 

La copertina :

ombra_cop.jpg (44452 bytes)


Titolo originale : Furin to Nanbei 

Traduzione dal giapponese  di Giorgio Amitrano, giugno 2002, 9.5 €
"I Canguri", Feltrinelli 
(ISBN: 88-07-70143-7)

 

Una breve introduzione :

Cosa significa tradire? Come si tradisce? Il tradimento ha per tutti lo stesso significato?
Banana Yoshimoto, più che dare risposte, disegna paesaggi emotivi che delineano i confini di uno degli aspetti più dolorosi ed enigmatici del vivere.
Chi tradisce? La fanciulla che ha una relazione con un uomo sposato o la moglie ingannata che, consapevole dell'affaire, mente annunciandole la morte dell'amante? Chi si sente più tradito? La madre che pensa sia giusto confidare alla figlia la data di morte della nipotina appena nata, rivelandole il suo calcolo astrologico, o la figlia che non vorrà mai più perdonarla per la nefasta profezia?
Le protagoniste di questi racconti sono giovani donne giapponesi tra i venti e i trent'anni. Per motivi disparati, si trovano in Argentina, Paraguay, Brasile: terre dalle tinte fortissime, colme di una straordinaria energia vitale che colpisce la loro sensibilità. Sono tutte partecipi o spettatrici
di un tradimento che, dalla prospettiva straniata dell'essere altrove, acquista una dimensione diversa e diventa un'occasione speciale pe rriflettere più profondamente sulla propria identità. Come spesso succede con Banana Yoshimoto, più che la trama in sé, è lo sviluppo dei personaggi ad avere importanza, il loro modo di accostarsi alla realtà e ai suoi molteplici aspetti. E nelle loro differenti vicende, il tradimento diventa un inevitabile passaggio dell'esistenza, un'esperienza
integrante della vita.
 

Estratto :

Passando per la hall piena di uomini d'affari, arrivai in camera mia, mi feci una doccia veloce e scesi al ristorante per cenare. Il locale era molto elegante, sembrava di trovarsi in Europa. Mangiai una quantità incredibile di pasta, scattai alcune foto e tornai nella mia stanza. Finalmente potei sciogliermi i capelli e togliermi il reggiseno, la cintura e la calzamaglia. Era da più di trenta ore che non mi mettevo a mio agio. Tuttavia, sentivo il corpo ancora tutto irrigidito, con i piedi gonfi che erano lì lì per avere un crampo. Dalla finestra si vedeva il tetto di una piscina che sembrava più che altro una serra, e una vecchia chiesa con i muri diroccati. Nonostante mi affacciassi sul lato opposto rispetto a quello dell'entrata dell'albergo, sulla sottile striscia di prato che affiancava il marciapiedi della chiesa si vedeva un altro gruppo di ragazzine. Avevano steso per terra delle coperte e ne avevano usate altre per avvolgersi dentro
in due o tre alla volta. A differenza di quelle piazzate davanti
all'ingresso, queste aspettavano il momento in cui la loro rockstar preferita avrebbe dato un'occhiata alla città al calare della sera e pertanto avrebbero passato la notte con il naso in su, fissando la finestra della sua camera. Alcuni di quei gruppetti bianchi sembravano fluttuare nella penombra.
Riempii la vasca da bagno di acqua, poi decisi di prendere un sonnifero leggero e di andare a letto subito. Per prima cosa, incominciai col rilassarmi dentro quella piccola vasca.
Ciò che detesto di più nella vita d'albergo è che, quando si fa il bagno, il vapore dell'acqua inumidisce tutto quanto, dagli indumenti di ricambio agli oggetti per la toilette. Ciò che mi piace di più, invece, è il fatto che non si debba preparare da mangiare e fare le pulizie. Una volta immersa, finalmente la stanchezza svanì e fui sul punto di addormentarmi di botto. Aggiungevo acqua calda poco per volta e, invitato da quel lieve rumore sordo, il sonno che mi si annidava nel profondo emerse fino alla superficie della pelle. Percepivo che la tensione del corpo e della mente, sviluppata dopo l'arrivo in quella terra sconosciuta, si stava sciogliendo nello scorrere dell'acqua calda. La stanchezza, proprio come un essere vivente, era diventata una massa rigida e si era accovacciata dentro di me. Dopo non so quanto tempo, ormai cotta a puntino, uscii dal bagno barcollando e, godendomi il fresco dell'aria condizionata fin troppo forte, tirai fuori dal frigorifero una birra con cui inghiottii il sonnifero. Volevo risolvere i problemi di fuso orario in un colpo solo. Avvolta soltanto da un asciugamano, bevvi la birra guardando la tv da cui fuoriusciva lo spagnolo a tutto volume, e piano piano cominciai a sentire
freddo, così che abbassai il condizionatore. Quando il rumore dell'aria diminuì, percepii chiaramente la quiete di quella stanza. All'infuori di me non c'era niente che si muovesse, il colore grigio della moquette risplendeva fatuo nella penombra, la luce soffusa della lampada illuminava soltanto i piedi e lo sfavillio della televisione riempiva tutto l'ambiente. Dopo un po' mi venne un colpo di sonno, per cui mi alzai per tirare fuori il
pigiama dalla valigia. In quell'istante squillò il telefono. Forse perché il sonnifero aveva cominciato a fare effetto, ai miei occhi ormai annebbiati il telefono apparve terribilmente bianco. Nelle mie orecchie, invece, quegli squilli rimbombarono come degli strani rumori sordi. Un suono che si diffondeva lentamente per tutta la stanza, in grado di schiacciare quella quiete. Sul telefono un'illustrazione spiegava i vari numeri, la reception, il servizio in camera, la linea esterna, la sveglia
del mattino eccetera. Mentre mi accingevo ad alzare il ricevitore, li fissai distrattamente. Guardai l'orologio e vidi che era mezzanotte passata, ossia mezzogiorno in Giappone dove c'era esattamente il fuso orario opposto, per cui pensai che
fosse il mio capo che mi chiamava per sentire se ero arrivata senza problemi.
"Pronto?" dissi, ma sentii soltanto un terribile rumore. Dopodiché con la mente intontita per il sonno, mi resi conto che, avendo cambiato albergo, in teoria nessuno avrebbe potuto sapere dove mi trovavo.
"Pronto?" ripetei ad alta voce e dall'altra parte, coperta da forti interferenze, sentii una flebile voce di donna. Non era il mio capo, tantomeno sembrava essere una chiamata fatta per errore da un'altra stanza, il rumore di fondo era senza dubbio quello delle telefonate internazionali. Mi concentrai al massimo per cercare di captare quella voce sottilissima e mi resi conto che stava dicendo qualcosa in giapponese. Così esclamai:
"Parli un po' più forte per favore!".
E la donna, questa volta scandendo parola per parola disse a voce alta: "Stamattina Miyamoto Masahiko è morto in un incidente stradale. La ringrazioper tutto quello che ha fatto per lui".
L'interferenza non era ancora passata, ma sentii tutto molto chiaramente. Una a una, la vibrazione nitida di quelle parole che sembravano fuoriuscire da casse acustiche ad alta definizione, mi entrò nel corpo attraverso le orecchie, pregnante di significato. Era un po' come quando si conclude
un'immersione subacquea: dopo che sott'acqua si è comunicato soltanto a gesti, quando si risale in superficie si ha l'impressione di aver conversato a lungo. I rumori di fondo non erano spariti, no, erano stati semplicemente eliminati dalla mia mente. Avevo sperimentato quel modo di comunicare tipico
di quando, durante un dialogo, la concentrazione sull'altro è tale da accorciare la distanza che divide i due animi. Quando il significato delle cose ti entra dentro direttamente.
"Cosa?" chiesi io, e come se un incantesimo si fosse sciolto, la stanza tornò a essere reale e il frastuono a farsi fastidioso. Dopodiché cadde la linea.
Mi trovavo abbandonata in una camera d'albergo buia e silenziosa tranne per la musica a basso volume che usciva dalla tv. Non so più quanto a lungo fissai l'illustrazione del telefono completamente persa nei miei pensieri, o quante volte presi in mano il bicchiere e bevvi un goccio di birra. Mi rendevo conto che la birra si scaldava sempre di più e che il suo sapore
amaro andava intensificandosi. Tuttavia il sonnifero, ormai penetrato nel mio corpo indebolito dalla stanchezza, raggiunse il massimo del suo effetto e le palpebre mi si appesantirono al punto da non riuscire più a pensare a nulla. La mia coscienza però era ancora presente e continuava a percepire con forza il
significato della telefonata di poco prima. Intuii che chi mi aveva chiamata era la moglie di Masahiko. Chissà perché lo
capii. Non riuscivo proprio a realizzare, però, che Masahiko, cui continuavo a pensare come se niente fosse stato, forse non era più in questo mondo. Era strano. Cercai di chiamarlo sul cellulare, ma la chiamata venne trasferita alla sua segreteria telefonica. Provai più di una volta, ma sempre con lo stesso
risultato. Dove suonava il suo telefono? In un ospedale? Vicino alla sua salma? I pensieri nefasti si propagavano senza freno, il mio animo cercava a tal punto di evadere che sullo schermo della mia mente non compariva più nessuna immagine. Il telefono di Masahiko era nero? Oppure bianco madreperla? Questo era ciò che mi girava per la testa. Restai seduta fintanto che non sentii freddo alla testa per via dei capelli
bagnati, poi mi alzai a fatica. Ero restata ferma in quella posizione a lungo, tanto che sul letto era rimasta una traccia bagnata rotonda, come se mi fossi fatta la pipì addosso. Non sapendo cosa fare mi misi il pigiama e, in piedi davanti alla finestra, guardai ancora una volta fuori.

 

© 2000 by Banana Yoshimoto ; copertina : © Masumi Hara
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano


Risoluzione consigliata : 1024x768 ; colori : true color (32 bit)
Ultima modifica : 14/03/08 20.23.48

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