“Sono
new age e contro la guerra, contro tutte le guerre. Anzi d'ora in poi
scriverò i miei romanzi per combattere quest'estrema violenza. Il
primo sarà per i bambini, che sono le prime vittime della crudeltà
del mondo d'oggi”.
Serena, ma
perentoria, Banana
Yoshimoto, da ieri a Roma per incontrare i suoi fan
ma anche per concedersi una vacanza da turista, consegna al Secolo XIX
i suoi sentimenti anticonflitto. Anche se si tratta della lotta
mondiale contro il terrorismo. La ferisce, soprattutto il fatto che
– malgrado il divieto costituzionale – il suo Giappone pertecipi
(sia pure per ora solo formalmente) ad una guerra. A fianco degli
Stati Uniti, cinquantun anni dopo la tragedia di Hiroshima e Nagasaki.
E' tornata dopo più
di dieci anni di successi. Kitchen, tradotto per la prima volta
nel 1991 ha segnato l'inizio di un lungo amore con il pubblico
italiano, soprattutto giovanile, conquistato dalla freschezza e
immediatezza della sua scrittura e dalla novità del suo linguaggio,
ispirato spesso a quello dei manga.
In quest'intervista
Banana parla non solo della guerra, ma naturalmente del Giappone
d'oggi e del suo nuovo amore per i fenomeni soprannaturali, tema che
appare nel suo ultimo romanzo pubblicato in Italia “H/H”, (Feltrinelli,
traduzione di Giorgio Amitrano) cui non rimane estraneo tuttavia
il suo motivo conduttore: la morte.
Lei è uno dei
pochi scrittori giapponesi i cui romanzi in Italia sono diventati best
sellers. Come spiega questa sua popolarità?
Perché per me
scrivere è una cosa naturale. Non lo considero un lavoro. Sono
soprattutto i giovani italiani a leggermi. Perché hanno una
sensibilità molto profondo. Credo che con i miei romanzi riescano a
rendere meno forte il dolore derivante proprio da questa loro estrema
sensibilità.
E l'Italia la
ripaga anche coi siti Internet affollati di fan club e e-mail. Qual'è
il suo rapporto con i lettori italiani?
Non ero venuta mai
in Italia come turista e credo che il vostro Paese sia entrato nella
mia vita in modo naturale. E' stato il destino a farmi incontrare
l'Italia, anche grazie alle molte lettere e-mail che ricevo. I miei
lettori italiani mi parlano della situazione della loro vita, delle
loro preoccupazioni. Mi chiedono anche aiuto per risolvere i loro
problemi.
Nei suoi ultimi
romanzi compaiono elementi soprannaturali che si ispirano alla new
age. Questo interesse deriva da sue esperienze personali o rispecchia
una tendenza della società giapponese contemporanea con la sua
proliferazione di sette?
Niente a che fare
con queste ultime tendenze. E' un'adesione che deriva semplicemente da
mie esperienze personali.
Lei crede in
questi fenomeni?
Sì, fanno parte
della mia vita quotidiana e non rappresentano per me qualcosa di
particolarmente strano.
Altri suoi temi
ricorrenti sono la morte e le solitudine. Che cosa rappresentano?
Scrivere romanzi
significa scegliere temi da trattare: l'amore, la storia, altri
percorsi. Ogni scrittore traccia la sua strada. Io ho scelto la morte
e la solitudine come i miei grandi temi.
Nella società
giapponese contemporanea il disagio giovanile ha assunto ultimamente
dimensioni drammatiche (ragazzine che si prostituiscono per comprare
abiti firmati, violenza nei confronti dei genitori e degli insegnanti,
ragazzi che si rinchiudono in se stessi rifiutando qualsiasi contatto
col mondo esterno). Qual'è la causa di tutto questo?
Non è ai giovani
giapponesi che manca qualcosa, ma agli adulti. Che scaricano il loro
vissuto sui ragazzi: la perdita del lavoro, il cattivo rapporto che i
genitori hanno tra loro, la rottura della famiglia. Solo l'apparenza
ci comunica che si tratta di un disagio dei ragazzi ma non lo è.
Quest'anno sono
state tradotte per la prima volta in Italia due opere di Yu
Miri, la scrittrice giapponese di origini coreane che ha
affrontato il tema della famiglia e della sua disgregazione nel
Giappone odierno. Qual'è la differenza tra voi?
Yu Miri ha scelto il
mondo delle emozioni e delle passioni umane, mentre io insisto sulla
morte. Siamo diverse anche per quanto riguarda il tema della famiglia
che lei osserva dalla prospettiva delle passioni umane.
In Giappone il
calcio è da alcuni anni seguitissimo. I prossimi mondiali sono
vissuti come un evento straordinario. Lei che idea se ne è fatta?
Nessuna perché il
calcio non mi interessa proprio. So solo che Nakata si dà da fare in
Italia. Non vado mai a vedere le partite né le seguo in tv.
Il Giappone ha
deciso, nonostante la sua costituzione lo vieti, di fornire il proprio
appoggio alle truppe americane. Che cosa pensa della guerra?
Dalla mia posizione
è molto difficile rispondere, ma sono contraria alla guerra al cento
per cento. Io mi ripropongo di oppormi alla guerra attraverso i miei
romanzi.
Chi sono i suoi
lettori giapponesi?
Per la maggior parte
giovani. Ultimamente sono aumentati anche i giovanissimi, soprattutto
donne. Ma pare che abbia conquistato anche le madri, il che mi rende
molto felice.
Dal suo debutto
con Kitchen, avvenuto quando aveva 24 anni, che cosa è cambiato in
lei come donna e come scrittrice?
Mi sono parsi molto
lunghi questi anni, mi rendo conto che sto facendo questo lavoro da
tanto tempo. Il mondo si allargato per me grazie alla scrittura. E i
romanzi sono stati una finestra per aprirmi a dimensioni nuove.
Adesso a cosa sta
lavorando?
Ho appena finito di
scrivere un libro su Tahiti.
E cos'altro
progetta?
Naturalmente di
continuare a scrivere, ma vorrei anche fare romanzi diretti ai bambini
di dieci anni.
Come vede la
letteratura giapponese di oggi?
Ci sono molti
giovani autori pieni di talento che però non riescono a vendere i
loro libri. Questo mi dispiace molto. Adesso si giudicano gli
scrittori solo in base alle vendite. Quando ho cominciato io il mondo
dell'editoria non era così duro.
Lei – si sa –
ama molto il cibo. Con quale significato?
Principalmente che
non si mangia quasi mai da soli. Il cibo è determinante alla
comunicazione tra le persone. Il cibo e la famiglia, per questo ne ho
fatto un simbolo.
Che cosa pensa
della situazione politica del suo paese e del primo ministro Koizumi?
Mi piace Koizumi, è
meglio dei suoi predecessori. E' una persona piena di allegria e
vitalità.
Che cosa
significa per lei l'amore?
E' ciò che io provo
nei confronti di tutto quel che esiste, non solo gli esseri umani. Per
me l'amore è verso le piante, gli animali, e appunto i cibi.
Intervista di Mimma
De Petra – IL SECOLO XIX – 27/11/2001
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